Pass The Crayon e l’arte dei valori
di Francesca Pegorer
L’associazione berlinese Pass The Crayon, rivolta a bambini e giovani richiedenti asilo, mette in pratica, a piccola scala e dal basso, i valori di democrazia e giustizia sociale che in molti vogliono per un’Europa, oggi nel tritacarne politico e mediatico. Come da ogni crisi radicale, qualcosa di importante si crea.
A ottobre 2015 mi trovo a Berlino, e mi rendo subito conto di come “la questione profughi” pervada i discorsi e le preoccupazioni politiche di tutti, soprattutto di chi già si sente spinto ai margini dal retrocedere dello stato sociale e dalla crescita dell’iniquità sociale, nell’ambito di una crisi economica ormai decennale. Ormai anche in Germania gli anticorpi contro i neofascismi si sono indeboliti: anche qui, il calo di fiducia nella politica tradizionale è stato riempito da movimenti populisti con consensi sempre più ampi. Partiti come l’AfD, Alternativa per la Germania, non hanno più pudore nell’utilizzare retoriche di estrema destra e nel dirigere il malcontento e la frustrazione verso un fantomatico Altro, che a sua volta trova una fin troppo facile controparte nella figura del Profugo, pericoloso in quanto avulso, diverso, a un tempo parassita e colonizzatore.
Questa, però, è solo la faccia oscura della medaglia. Infatti, dallo scoppio della crisi umanitaria è sorta una serie di iniziative spontanee, autogestite, trasversali e transnazionali, che contribuiscono a mantenere vive in Europa le conquiste democratiche e di giustizia sociale del dopoguerra. Pass The Crayon, che si occupa di organizzare attività ludiche e creative per bambini e ragazzi richiedenti asilo alloggiati nei centri di accoglienza della capitale tedesca, è una di queste iniziative, e merita di essere raccontata.
Ho incontrato i due fondatori, Martin Ringenbach e Sevin Özdemir (nati rispettivamente in Francia e in Svizzera, ma dal 2010 a Berlino) alla fine del 2015, quando Pass the Crayon era nata da poco, e io stessa prestavo aiuto come volontaria in un centro di accoglienza della capitale tedesca.
Le attività di Pass The Crayon hanno l’obiettivo di offrire a bambini e ragazzi di qualunque provenienza accesso ad attività artistiche, come modo per sviluppare la capacità di esprimersi e di aprirsi a nuovi relazioni. “La nostra missione”, mi dicono Sevin e Martin, “è di aiutare i bambini a scoprire i loro talenti e i loro punti di forza, usando l’arte come un mezzo per scoprire se stessi. L’obiettivo è, semplicemente, di divertirsi, di portare una ventata di energia positiva nei centri di accoglienza, e di essere creativi. Le attività possono essere incentrate su pittura, disegno, scienza, giardinaggio, danza, teatro… Cerchiamo anche di riutilizzare oggetti quotidiani, così che i bambini possano anche fare da soli, o con le loro famiglie e i loro amici”.
L’idea di creare Pass the Crayon è nata nel settembre del 2015, al picco della crisi dei rifugiati in Europa. “Entrambi volevamo darci da fare, e dare una mano a distribuire i pasti in un centro di accoglienza ci aprì gli occhi sulla situazione reale di tali centri a Berlino. C’era molta confusione, le persone erano in perenne attesa e i bambini correvano dappertutto. Nel centro in cui facevamo volontariato, in particolare, sembrava che non ci fossero attività dirette in modo specifico ai bambini. Decidemmo di creare Pass the Crayon come reazione spontanea a questa situazione, e iniziammo poche settimane dopo. I primi mesi sono stati molto intensi, ci recavamo in diversi centri di accoglienza a offrire i nostri servizi gratuitamente, ma la priorità andava al soddisfare bisogni di base, mentre attività come la nostra dovevano per forza venire dopo. Abbiamo trovato i materiali grazie a Facebook, attraverso Free your stuff e la pagina di Pass The Crayon. Dato che non avevamo a disposizione molto materiale, all’inizio abbiamo dovuto limitarci ad attività di disegno e pittura. Abbiamo iniziato in un centro, nel quartiere di Prenzlauer Berg, e poi abbiamo esteso le attività ad altri due. Ogni settimana partecipavano nuovi volontari, e piano piano ci siamo conosciuti meglio tra di noi. A questo punto abbiamo iniziato ad invitare artisti ad alcuni dei workshop, e ora sempre più volontari ci propongono attività ideate completamente da loro.”
Nell’ultimo anno le cose sono cambiate molto per Pass The Crayon, che è diventata ufficialmente un’organizzazione no profit, in cui i due fondatori, Sevin e Martin, si occupano della gestione di tutti gli aspetti organizzativi, mentre sempre più volontari conducono autonomamente i workshop, senza bisogno della loro presenza. “C’è voluto del tempo, perché è stato difficile delegare, ma ogni giorno impariamo qualcosa. Inoltre, abbiamo trovato nel Migration Hub Network un luogo di co-working, il che ci permette di lavorare con stagisti, così da poter crescere”.
I rifugiati sono sempre in movimento: da un centro all’altro, da una città e da un paese all’altro fino, è questa la speranza, a una destinazione definitiva. Però, mi dicono Sevin e Martin, “abbiamo notato che molti dei bambini sono rimasti negli stessi centri anche dopo un anno. La loro situazione si evolve molto lentamente. Ci vuole davvero moltissimo tempo perché i richiedenti asilo possano raggiungere una qualche stabilità in Germania, in modo da poter cercare una casa e un lavoro. Molti dei bambini vanno a scuola tutti i giorni e si sono adattati velocemente alla vita a Berlino. Ci sono anche famiglie che hanno lasciato i centri, però: hanno trovato un appartamento o comunque una casa dove vivere. All’inizio, per noi è stato difficile. Non eravamo pronti. Non riuscivamo a dire addio a queste persone e a volte non riuscivamo nemmeno a sapere se erano rimasti in Germania o se avevano dovuto lasciare il paese. Abbiamo creato dei legami con i bambini, ma allo stesso tempo abbiamo dovuto imparare a prendere un po’ le distanze, e abituarci a questa situazione”.
Con gli operatori, gli educatori e i coordinatori dei centri Pass The Crayon ha instaurato dei veri legami. “Apprezzano il nostro impegno, ci danno il benvenuto ogni settimana, e anche quando non abbiamo molto contatto con il management, comunque parliamo sempre con gli educatori, che sono felici di vederci ogni settimana, ci danno una mano, riuniscono i bambini e ci danno supporto se abbiamo delle difficoltà con alcuni di loro. Anche con gli artisti che collaborano con noi le relazioni sono fluide e senza problemi. Appena ci manifestano interesse pianifichiamo insieme il workshop, compriamo il materiale, e così via. Durante il workshop supervisioniamo tutto ma lasciamo che siano loro a condurre l’attività. Molti di loro ne sono entusiasti, e vogliono tornare, ma dobbiamo essere pazienti perché spesso si tratta di persone molto impegnate. I volontari, invece, di solito vengono a sapere di noi attraverso Vostel.de (un portale che mette in contatto volontari e associazioni su tutto il territorio tedesco, N.d.R.). Alcuni vengono solo a qualche workshop, altri partecipano regolarmente. Oggi accettiamo solo persone che possono impegnarsi a lungo termine: instaurano più confidenza con i bambini, col tempo, e si crea un’atmosfera migliore perché tutti si sentono più indipendenti. Spesso hanno delle idee per le attività, e le mettono in pratica in team, il che funziona bene. Se c’è una buona collaborazione tra loro, i bambini sentono che noi tutti siamo un gruppo di amici, ce l’hanno descritto proprio così. Adesso chiediamo anche più feedback da parte dei volontari, in modo che anche loro vivano un’esperienza il migliore possibile”.
Invece, su quali siano le risposte da parte dei bambini e dei loro genitori, Sevin e Martin mi dicono che un workshop ha successo quando i bambini chiedono loro di non fermarsi, di non smettere, e anche quando si informano se torneranno il giorno dopo. “Poi notiamo che alcune attività li stimolano a continuare il lavoro anche dopo la fine del workshop. Ad esempio, abbiamo organizzato alcuni incontri realizzando graffiti insieme ad un artista e i bambini, con l’aiuto del centro, hanno realizzato un enorme murales! Ci ha colpito molto che abbiano sviluppato la loro idea così in fretta e che abbiano creato qualcosa insieme. Diamo poi anche l’opportunità ai bambini di diventare loro stessi insegnanti e lo fanno con orgoglio e con molta motivazione. Notiamo che li fa sentire bene e che non vedono l’ora di farlo. Anche i genitori, in genere, sono molto contenti: non abbiamo mai ricevuto lamentele, anzi, spesso partecipano alle attività. A volte però, ovviamente, quello che proponiamo hanno meno successo, ma è qualcosa che cerchiamo di accettare, e proviamo semplicemente ad aumentare la qualità. Oppure, a volte i bambini non vogliono saperne di iniziare ma poi, dopo cinque minuti, vengono da noi. Non sappiamo mai cosa aspettarci!”.
Pass The Crayon è anche un marchio, in un certo senso: questo è essenziale per attrarre volontari, donatori, sponsor, e così via. “Ovviamente abbiamo cercato di trovare qualcosa che fosse attraente dal punto di vista estetico e che esprimesse un’identità forte nella nostra comunicazione. Ci abbiamo messo impegno, e la gente ricorda il nostro nome e il nostro logo, quindi sembra aver funzionato. Anche se la nostra immagine non è l’aspetto più importante dell’associazione e di quello che facciamo, comunque notiamo che è quello che attrae le persone. Ma, in ogni caso, per noi si tratta semplicemente di usare i moderni mezzi di comunicazione per crescere e attrarre potenziali collaboratori. È anche importante per noi lavorare con altri creativi, per esempio con Studio Brique, che ha realizzato i nostri volantini. Per l’ultimo volantino abbiamo cercato di creare qualcosa di interattivo, che riflettesse il nostro modo di lavorare (si tratta del logo dell’associazione, diviso in settori numerati, da colorare, N.d.R.). Abbiamo bisogno di cose come questa per dare vita a una comunità attiva”.
Per il futuro, l’obiettivo è di essere presenti in tutta la città e che i volontari lavorino in modo sempre più indipendente. “Per fare questo abbiamo bisogno di finanziamenti che ci permettano di avere la sicurezza di poter realizzare i workshop a lungo termine. In seguito potremmo poi anche vedere se è possibile entrare in contatto con altre realtà, in altre nazioni. Ci piacerebbe, ma resta il fatto che non vogliamo diventare troppo grandi: la priorità è restare in una dimensione a misura d’uomo e mantenere il contatto umano, interpersonale.”
In conclusione, Sevin e Martin sottolineano che ogni nuovo progetto, che possa essere utile in questi tempi difficili, va incoraggiato. “È importante rendersi utili nella propria comunità, e quel che si fa non è mai troppo. Vorremmo anche sottolineare che è fondamentale includere nel progetto i rifugiati e i loro bisogni fin dall’inizio. Il miglior primo passo è di andare a vedere cosa gli altri stanno già facendo, chiedere un feedback, creare una squadra, e poi buttarsi!”.
Berlino, febbraio 2017.